Beat generation

“Se le porte della percezione fossero sgombrate, ogni cosa apparirebbe com’è, infinita”

William Blake

‘Sono seduto qui nell’immobile eternità’

Kerouac

Nota redazionale: perché scrivere un articolo su un fenomeno culturale (prevalentemente letterario e musicale) sbocciato negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso? Forse perché gli echi di quel fenomeno sono tutt’ora rintracciabili in alcuni aspetti del nostro tempo. Il.beat è stato la premessa per la rivoluzione psichedelica, un fenomeno culturale legato anche ad un testo scritto da Aldous Huxley negli anni cinquanta (Le porte della percezione). Huxley, un autore di testi estremamente importanti per comprendere l’attuale mondo distopico. Ebbene, nel presente articolo proveremo a descrivere e analizzare le caratteristiche socio-culturali del fenomeno beat. I fermenti culturali di quel ventennio (le loro luci ed ombre) sembrano essersi trasformati in echi soffusi, quasi assenti del tutto dal panorama sociale contemporaneo. Forse non è esattamente vero, forse qualche traccia di quel decennio è ancora presente nella musica e nella cultura dei nostri giorni. Nel corso del tempo altre ‘mode’ hanno influenzato la mentalità di una parte del corpo sociale, con delle ricadute sia nel campo musicale, sia nel campo più generale dei comportamenti individuali, tuttavia il fenomeno della beat generation resta un unicum, in quanto matrice e precursore di una parte dei successivi movimenti giovanili. La beat generation è stata qualcosa in più di un semplice fenomeno culturale, letterario e musicale, in grado di influenzare i comportamenti giovanili. A nostro avviso la beat generation può essere interpretata come la manifestazione di un archetipo collettivo, i cui capisaldi ricorrenti sono da un lato l’energia della gioventù, e dall’altro lato il rinnovamento della vita, la fenice. In un certo senso il beat ha rivelato la forza del bisogno di un mondo fatto di pace e amore universale, il sogno-bisogno di una società liberata dal carrierismo, dal conformismo, dal profitto, dalla guerra. Il beat, ovvero un fenomeno collegato alle inquietudini giovanili, alla contestazione del mondo degli adulti (i matusa), in fondo ha avuto il significato di un raggio di luce, nel plumbeo panorama della guerra fredda, e soprattutto del capitalismo trionfante ad est come ad ovest, in America come in URSS. Una volta, in passato, si credeva che ogni nuova generazione fosse destinata a dare l’assalto al cielo, motivata da nobili aspirazioni di rinnovamento sociale. Tuttavia l’archetipo della eterna gioventù, che come la fenice rinasce dalle sue ceneri, è apparentemente scomparso dalle scena degli ultimi quattro decenni. Gli anni ottanta, definiti non a torto gli anni del riflusso ( dei sogni di rinnovamento), hanno rappresentato lo spartiacque tra due fasi socio-culturali: la fase presente, in cui sembra prevalere la prosa, anzi il prosaico, e la fase iniziata negli anni cinquanta, poi terminata verso la fine degli anni settanta, in cui ha occupato la scena ( soprattutto tra i giovani) l’ideale romantico, l’aspirazione al rinnovamento e ad un mondo di amore e fratellanza, la contestazione nei confronti di una società ipocrita e bottegaia, senza anima, priva di cuore. Il testo di Huxley, le porte della percezione, in questo contesto ha rappresentato una guida per i giovani che si ribellavano alla società, i giovani che si volgevano alla ricerca interiore mirante ad allargare la percezione della realtà. Il testo di Huxley, con i suoi riferimenti alle dottrine orientali, ha indicato, innanzitutto alla nuova generazione, la strada della libertà dai condizionamenti, l’apertura verso la coscienza cosmica, la coscienza dell’unità di tutte le cose. Bisogna però ricordare che i profeti della beat generation sono stati anche altri: Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, questi sono i primi nomi che ci sovvengono. Ginsberg scrisse: «Aiuteremo a modificare le leggi che governano i cosiddetti paesi civili di oggi: leggi che hanno coperto la terra di polizia segreta, campi di concentramento, oppressione, schiavitù, guerra, morte»

Prima parte: il beat prima del beat

‘L’infinito è immortale, e indistruttibile”

Anassimandro

Quando mi libero di quello che sono, divento quello che potrei essere

Lao Tzu

Il termine beat sembra che sia stato coniato da Jack Kerouac, nel 1948, come appellativo rivolto ai giovani underground newyorkesi. Nell’accezione semantica attribuitagli da Kerouac, il beat indica una persona ottimista, avvolta in uno stato di beatitudine (beat-itudine). Nel corso del tempo la parola assumerà la molteplicità di significati ricordati nella nota redazionale. Il romanzo di Kerouac, ‘On the road’, esprime bene l’inquietudine e il desiderio di libertà di una fetta dell’America uscita dagli orrori della seconda guerra mondiale. I due protagonisti girano l’America con mezzi di fortuna, da nord a sud, da ovest ad est, dormendo dove capita, spinti dal desiderio di ribellarsi ad una società bigotta e conservatrice, che pone al centro della vita la carriera, il denaro, un becero conformismo sociale. In fondo ‘On the road’ è un manifesto anticapitalista, l’urlo di rabbia di chi negli anni cinquanta non voleva più vivere nel mondo distopico trionfante negli USA come nell’URSS. Dunque ‘On the road’, sulla strada, per fuggire dalla gabbia di acciaio di una falsa razionalità tecnica che Max Weber, oltre trent’anni prima, aveva adombrato come destino dell’uomo moderno. Il gruppo di intellettuali, artisti, poeti e scrittori che alla fine degli anni quaranta si ribella al conformismo accademico e al conservatorismo sociale, dando vita al movimento beat, probabilmente non aveva previsto la durata e la portata della propria ribellione. In fondo questa ribellione era al contempo una ricerca, mirata a conquistare ciò che di essenziale vi è nella vita. Parlando dell’essenziale torniamo ancora una volta alla coscienza cosmica, e ad un altro testo importante, per lo sviluppo della beat generation in movimento hippie e psichedelico, parliamo del testo di Huxley le porte della percezione. Jim Morrison, verso la fine degli anni sessanta, chiamerà il suo gruppo musicale proprio ‘The doors‘, in omaggio al libro di Huxley. In questo testo, scritto verso gli inizi degli anni cinquanta, diventano espliciti i riferimenti alle dottrine orientali del taoismo e del buddismo, ovvero diventa chiara l’attenzione verso una antica conoscenza dell’essere, che al contempo spinge chi si avvicina ad essa verso uno stile di vita lontano dal frastuono insensato della società capitalistica. Huxley, che nel 1932 aveva pubblicato uno sconsolato affresco del mondo a venire, basandosi, peraltro, sui segnali già presenti nella società distopica e ultra-oppressiva dell’epoca ( Il nuovo mondo), aveva nei decenni successivi prospettato per gli uomini una chance di fuga dal nuovo mondo distopico. Essa era in parte basata sul venire meno del condizionamento neuro-linguistico dominante, attraverso l’apertura delle porte della percezione. The Doors. Andare oltre i condizionamenti del malato senso comune, oltre le porte della percezione ordinaria, per incontrare il proprio autentico destino di esseri onnilaterali. In fondo anche il mono-mito del viaggio dell’eroe, studiato negli anni cinquanta da Campbell, sulla scorta della psicologia junghiana, racchiudeva un percorso iniziatico che proiettava l’eroe oltre le porte della percezione ordinaria, per conquistare, infine, la conoscenza profonda del proprio essere. Nel 1953 Huxley aveva incontrato lo psichiatra britannico Humphrey Osmond, che aveva coniato qualche tempo prima il termine ‘psychedelic‘. Lo psichiatra somministrò ad Huxley una dose di mescalina, allo scopo di verificare se davvero essa aveva il potere di emulare la schizofrenia, nel soggetto dell’esperimento. Huxley, che invece si aspettava di essere introdotto nel mondo mistico delle visioni, comprese che: ‘ L’altro mondo nel quale la mescalina mi introduceva non era il mondo delle visioni: esisteva fuori di esso, in ciò che potevo vedere con gli occhi aperti. Il grande cambiamento era nel regno del fatto obiettivo…la mente percepisce in termini di intensità di esistenza, profondità di significato…la mente si interessava, soprattutto, non di misure e di collocazioni, ma di essere e significato.” In altri termini la mescalina aveva suscitato non il viaggio mistico atteso, ma una più acuta percezione delle cose, arricchendo di significati gli oggetti del mondo ordinario: ”Questa partecipazione alla manifesta gloria delle cose non lasciava posto, per così dire, agli interessi ordinari e necessari dell’esistenza umana”. La mescalina aveva favorito il superamento dell’io: ” Le persone sono degli io, e in un certo senso, io adesso ero un non-io”. L’uso di sostanze allucinogene è attestato in molte popolazioni, in aree geografiche e in tempi differenti. In Sudamerica ci sono tracce del loro utilizzo risalenti a 6000 anni indietro nel tempo. Inizialmente l’uso di tali sostanze era legato alle esperienze sciamaniche, anche se il viaggio estatico, con cui gli antichi sciamani entravano nel mondo degli spiriti, poteva essere favorito dal suono di un tamburo, oppure da uno stato di trance auto-indotto. La controcultura beat e successivamente quella psichedelica, avevano ipotizzato l’impiego di sostanze psicotrope, per stimolare degli stati alterati di coscienza (negli utilizzatori). Tuttavia, in assenza del contesto socio-culturale in cui era sorta, migliaia di anni prima, l’abitudine di assumere quelle sostanze, era inevitabile che il senso stesso del loro impiego attuale si trasformasse in qualcosa di differente. All’interno di una società capitalistica era infatti prevedibile che l’uso di determinate sostanze psicotrope, diventasse un modo per evadere dalla realtà, o addirittura una dipendenza dal consumo di stimoli neurali inconsueti. In parole povere la stessa sostanza, impiegata in contesti socio-culturali differenti, non poteva che produrre effetti differenti. Questa ovvietà sociologica non intende dare adito a giudizi di valore sull’esperienza vissuta da Huxley, nel contesto della società degli anni cinquanta e sessanta. Diciamo pure che il consumo di determinate sostanze, in assenza del retroterra socio-culturale ( comunitario e animista-sciamanico) che giustificava la loro utilizzazione nel lontano passato, ha spesso avuto effetti fuorvianti rispetto alle attese. L’evoluzione psichedelica del beat, a nostro avviso, ha mostrato un limite proprio sul punto anzidetto. D’altronde, le stesse pratiche delle dottrine orientali sono generalmente lontane dall’impiego di sostanze psicotrope. La ricerca interiore, l’espansione della coscienza, il risveglio, sono di regola perseguiti attraverso la meditazione yoga, la recitazione dei mantra, la visione dei mandala, i koan, la vita monastica, l’eremitaggio.

Parte seconda: la musica psichedelica (e il pop progressivo degli anni settanta)

Il beat, ad un certo punto, verso la metà degli anni sessanta, evolve in psichedelia. Il termine è composto da due lessemi di origine greca, psiche che indica l’anima e delos, che si riferisce al verbo chiarire. Dunque la psichedelia ha il significato etimologico di apertura dell’anima, un movimento volto a rendere chiaro ciò che l’anima è, nella sua essenza ( infinita) nascosta. Il testo di Huxley ( Le porte della percezione), ma anche i testi di altri esponenti della beat generation, hanno contribuito a formare l’humus culturale in cui è sorta la musica psichedelica. Alcuni brani dei Beatles sono chiaramente inseribili in questo filone musicale. Ricordiamo i nomi di alcuni gruppi che alla fine degli anni sessanta, hanno composto dei brani ascrivibili al filone psichedelico: Doors, Pink Floyd, Grateful Dead, Jefferson Airplane, Cream. Agli inizi degli anni settanta entreranno sulla scena musicale dei gruppi come i King Crimson, Gentle Giant, Genesis, ELP, YES, Van Deer Graf Generator, Soft Macchine, Jetro Tull e via dicendo, che produrranno degli album musicali aventi, solo in certi casi, un collegamento con il filone psichedelico. Le denominazioni utilizzate dalla critica specializzata, nella catalogazione di queste nuove esperienze musicali, andranno oltre il termine psichedelico. Saranno infatti utilizzati termini come pop progressivo, pop romantico, pop sperimentale, dove pop è l’abbreviazione di popolare. Anche in Italia, sulla scorta di quanto accadeva in America e in Inghilterra, sorsero dei gruppi musicali ascrivibili al filone del rock-pop progressivo, ricordiamo il Banco del mutuo soccorso, la PFM, gli Osanna, gli Area, i New Trolls, il Balletto di bronzo, i Jumbo, la Nuova Idea, e tanti altri gruppi, certamente meritevoli e interessanti, di cui attualmente non ci sovviene memoria. Nei gruppi del pop progressivo degli anni settanta tenderà a prevalere la commistione di vari generi di musica: rock, classica, contemporanea, jazz, e in qualche caso psichedelica. Questi nuovi gruppi, in certi casi, hanno composto dei brani davvero straordinari sia dal punto di vista musicale, sia in relazione ai testi contenuti nella parte vocale. Il primo album del Banco del mutuo soccorso, era imperniato sulla vita di un soldato, la sua morte e il percorso post mortem. Un album filosofico, dove il protagonista dopo il passaggio e la metamorfosi post mortem, raggiunge il giardino del mago dove ”la morte non ha dominio e il tempo parla con il re, corona senza vanità”. Un album dalle sonorità classicheggianti, evolute e raffinate, con le tastiere a giocare un ruolo importante. Molti gruppi in quegli anni settanta crearono degli album degni di nota, in una effervescenza creativa di larga diffusione. Ricordiamo che nell’agosto 2019 abbiamo scritto un articolo sul tema, concentrandoci sull’album Palepoli, del gruppo degli Osanna. Ovviamente con le precedenti righe non intendiamo proporre la recensione di un album pop, le nostre righe sono solo una reminiscenza di impressioni soggettive provate da giovani, negli anni settanta, quando il pop progressivo era la musica prediletta da molti di noi ormai cinquantenni o sessantenni.

Considerazioni conclusive

Musica beat, psichedelica, progressiva. In altre parole i passaggi e le fasi musicali di un movimento iniziato nel dopoguerra, principalmente negli Usa, e successivamente diffusosi in Inghilterra e in Europa. Un movimento socio-culturale con profonde ricadute nel campo letterario, artistico e musicale. Dopo l’immane tragedia della seconda guerra mondiale, era accaduto che una parte della società, di cui diventeranno interpreti e portavoce gli intellettuali precedentemente citati, aveva cercato la strada per un mondo migliore. Una generazione ‘on the road’, alla ricerca di un senso diverso della vita, per andare oltre le porte della percezione ordinaria dell’esistenza. Dunque una generazione, o meglio una parte di essa, nei tre decenni successivi al secondo conflitto mondiale, aveva provato ad uscire dalla gabbia di acciaio del modello di vita borghese ( famiglia, carriera, conformismo mentale), perseguendo il sogno di una società migliore: questo sogno pur non realizzandosi sul piano storico, ha avuto la forza di cambiare la qualità della vita psichica, le emozioni, di chi sognava un mondo migliore. In fondo, se non potessimo sognare l’Eden, come potremmo sopportare l’inferno in cui viviamo?

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