Apocalypto: fuga dal sacrificio

Nel gennaio 2007 è uscito nelle sale cinematografiche italiane un film di Mel Gibson dal titolo ‘Apocalypto’. Il film è incentrato sulla vicenda di un indigeno che cerca di sfuggire ai cacciatori di schiavi Maya, per ricongiungersi con la propria famiglia. Da un punto di vista sociologico il film esprime l’antitesi fra una comunità tribale indios, basata su relazioni di uguaglianza e condivisione della selvaggina fra i suoi membri, e la società Maya, basata sul lavoro schiavistico dei prigionieri di guerra e sul sacrificio umano. Le pratiche rituali basate sul sacrificio hanno trovato una certa diffusione in quasi tutte le culture conosciute. In certi casi il sacrificio riguardava un animale, oppure dei fiori e qualche arbusto, in altri casi degli esseri umani. Dei recenti scavi archeologici hanno portato alla luce gli scheletri di oltre cento bambini, in un sito dedicato ai sacrifici, nel territorio dove un tempo si estendeva l’impero Incas. Sembra che anche in Italia, nei territori dove esistevano le colonie dei fenici, fossero presenti dei siti rituali dedicati al crudele demone Moloch. In questi siti venivano sacrificati bambini e neonati, gettati ancora vivi in una fornace ardente situata all’interno della statua di Moloch. Aztechi, Maya e Incas hanno praticato con grande frequenza i rituali basati sul sacrificio umano. Gli studi di antropologia culturale e la storia delle religioni hanno cercato di esplorare le motivazioni che hanno spinto determinate culture a praticare i riti sacrificali. Una delle teorie più diffuse ha indicato nel sacrificio la contropartita offerta agli dei per ottenere un determinato vantaggio. La vittima sacrificale, in questa logica rituale fondata sul do ut des, cioè sul dare per avere, assumeva un ruolo importante all’interno della società, in quanto il suo sacrificio avrebbe consentito il rinnovamento del patto ancestrale fra gli uomini e gli dei. Sarebbe però errato concludere, a questo punto, che le pratiche sacrificali rappresentino una costante sociale indipendente dalla storia. Queste pratiche sono invece un prodotto della perversione della originaria conoscenza magica, la conoscenza sviluppata dalle antiche società di condivisione. In queste società il contatto fra il mondo invisibile e il mondo umano era realizzato attraverso il viaggio sciamanico. Marcel Mauss descrive il significato delle relazioni sociali nelle società arcaiche impiegando la chiave di lettura dello scambio simbolico. Quest’ultimo è nient’altro che una obbligazione rituale, nata dall’esperienza, attraverso cui i membri del gruppo sociale mantengono l’equilibrio al loro interno e all’esterno. Secondo Mauss lo scambio simbolico non ha come scopo la transazione di valori economici equivalenti, tipica del commercio ordinario. Lo scopo è invece di creare un ponte di comunicazione tra gli uomini, e tra gli uomini e gli altri piani di realtà. In questo senso il fine dello scambio non è di tipo economico ma ontologico. Nello scambio simbolico vengono offerti dei doni, a cui possono corrispondere dei contro doni, anche se non esiste nessun obbligo legale di una contro-offerta. Nella logica dello scambio studiata da Mauss è presente una obbligazione rituale, non legale. La base sociale del dono iniziale consiste nella fiducia che l’altro, sia esso un uomo, un animale o una entità del piano invisibile, risponderà con un contro-dono. Lo scambio simbolico è dunque un atto fondamentale sia per la diffusione dei legami comunitari, sia per la conoscenza della realtà degli opposti, i quali entrano in relazione dialettica attraverso la comunicazione rituale del dono e del contro dono. Hegelianamente, attraverso lo scambio la molteplicità conosce se stessa e dunque pone le premesse gnoseologiche di una prospettiva ontologica basata sulla dialettica degli opposti. Torniamo al film di Mel Gibson; la scena iniziale si svolge in una selva dove i cacciatori della tribù, dopo avere ucciso un animale selvatico, si dividono i resti della preda. Al più ingenuo dei cacciatori viene fatto uno scherzo che scatena l’ilarità generale, a riprova del clima goliardico che caratterizza alcuni momenti della vita della tribù. Durante il tragitto di ritorno al villaggio incrociano un gruppo di fuggitivi appartenenti ad un altra tribù, nei loro volti si legge la paura causata da un precedente incontro con i guerrieri Maya, cacciatori di schiavi. Ben presto questi ultimi giungeranno al villaggio dei nostri eroi, e dopo una lotta cruenta deporteranno i sopravvissuti nella loro città. Tuttavia il figlio del capo villaggio, prima di essere catturato, riuscirà a nascondere la moglie e il figlio in un buco profondo nel terreno. Durante il tragitto verso la città, una bambina afflitta da un morbo contagioso, predice agli schiavisti Maya la prossima fine della loro società. Nei dintorni della città vi sono delle cave in cui i prigionieri lavorano fino alla completa distruzione della propria salute, per estrarre i materiali necessari alla costruzione degli edifici e dei templi. La schiavitù si mostra senza veli nel mondo Maya, essa si palesa come la doppia imposizione riservata ai prigionieri: il lavoro forzato e il sacrificio. Quest’ultimo è officiato da un sacerdote, in cima ad una priramide, alla presenza del re e della sua famiglia. Il popolo assiste al sacrificio, in attesa che il sacerdote comunichi il vaticinio tratto dai cuori ancora palpitanti delle vittime. Carestie e pestilenze sono i principali problemi che affliggono la società Maya nel film di Gibson, dunque è per la loro soluzione che vengono immolate le vittime sacrificali alle oscure divinità maya. Scampati miracolosamente al sacrificio, il protagonista e alcuni suoi compagni vengono destinati a partecipare ad un crudele gioco, in cui devono correre per evitare di essere colpiti dalle armi delle guardie. Il protagonista riesce a salvarsi e uccide il figlio del capo delle guardie. A questo punto inizia il suo inseguimento da parte di una decina di guardie, che tuttavia cadono, in continua successione, nelle trappole predisposte dal nostro eroe. I ruoli vengono ribaltati, e la preda diventa cacciatore. Quasi tutti gli inseguitori troveranno la morte che meritano, solo due di essi sopravviveranno, per giungere infine su una spiaggia e scorgere le caravelle degli spagnoli, l’apocalisse che metterà fine alla loro società, come gli era stato predetto dalla bambina afflitta dal morbo.

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