Militaria: Midway

Prefazione

Nel giugno 1942 si svolse al largo delle isole Midway una battaglia navale tra la flotta USA e la flotta imperiale nipponica. L’esito del confronto causò una battuta d’arresto per i giapponesi, che persero buona parte delle proprie portaerei. Nel corso dell’articolo tenteremo di evidenziare il ruolo della strategia militare, supportata da adeguati rapporti informativi, nello svolgimento e nell’esito finale degli eventi bellici. Anche oggi, nel panorama dell’attuale confronto/scontro fra apparati capitalistici concorrenti, l’informazione e la strategia svolgono un ruolo fondamentale. Sun Tzu: ‘conosci il tuo nemico’. Le borghesie nazionali impiegano lo strumento militare per raggiungere i propri scopi. Questi ultimi possono spaziare dal controllo delle risorse industriali, energetiche e minerarie presenti nel territorio del nemico, alla semplice eliminazione del potenziale bellico dell’avversario. Tuttavia la guerra, all’interno della società capitalistica mondiale, possiede anche una funzione di riequilibrio sistemico, paragonabile agli automatismi del nostro sistema immunitario. Ne abbiamo scritto diffusamente nel testo ‘Guerra e crisi nel Capitale di Marx’, quasi dieci anni fa (il testo è pubblicato sul blog). In sintesi, nel capitalismo globale, la guerra è una funzione di sistema, in quanto distruzione della sovrappopolazione prodotta a ciclo continuo dalle stesse leggi immanenti del capitalismo. Oltretutto, quando si analizzano gli effetti di questa funzione, non si devono solo calcolare il numero di soldati morti, feriti e dispersi, ma anche il numero dei civili morti, feriti o esodati. Inoltre, la distruzione bellica delle abitazioni e delle infrastrutture civili, determina regolarmente un aumento della mortalità della popolazione. In realtà, al di là della guerra, è l’intero modello di produzione e di consumo del capitalismo a determinare (in default) l’estinzione anticipata delle vite umane, soprattutto quelle vite incluse nella sovrappopolazione latente e stagnante. Ci riferiamo ai ritmi di lavoro asfissianti, al cibo, aria e acqua di qualità discutibile, ai farmaci e all’assistenza sanitaria non alla portata delle moltitudini di miseri (prodotti dal sistema). Questi miseri non sono solo i diseredati che vivono ai margini delle metropoli, nelle periferie degradate, nelle baraccopoli, nelle banlieue, nelle bidonville e nelle favelas, perché, a causa della proletarizzazione del ceto medio e della miseria crescente, oggigiorno i miseri vivono di stenti anche nel centro delle città, dove posseggono (ancora per poco) un abitazione. Risucchiati nel vortice della povertà, e dunque incapaci di sostenere le spese condominiali, le tasse comunali, e le paventate richieste di ristrutturazione green, una parte dei proprietari dovrà vendere l’abitazione e cercare una soluzione abitativa diversa dalla casa di proprietà. Anche il prolungamento dell’età anagrafica pensionistica (talvolta fino al limite dei settanta anni) funge da fattore di ulteriore sfinimento ed estenuazione dell’organismo vivente del lavoratore. Morale della favola, il sistema capitalistico è in grado di ottenere il riequilibrio dei propri parametri di funzionamento (1) attraverso molti modi, non ultimo il conflitto bellico, il quale, tuttavia, svolge anche il compito di dirimere le controversie e di soddisfare gli appetiti dei fratelli coltelli borghesi.

(1). La sovrappopolazione latente -stagnante (concentrata nelle metropoli come massa sottoproletaria di diseredati) è una minaccia per l’equilibrio sistemico, in quanto potenziale bomba sociale, serbatoio di protesta e fattore di corrosione del potere politico della classe dominante.

Buona lettura

Antefatto

Dopo l’attacco di Pearl Harbor nel dicembre 1941, il Giappone orientò i suoi sforzi offensivi verso la conquista di altre aree del sud est asiatico e mise in programma addirittura la conquista dell’Australia. Nei primi mesi del 1942 il Giappone occupava stabilmente la Birmania e la parte settentrionale della Cina, palesando inoltre una minaccia potenziale verso l’india. Tra il quattro e l’otto maggio 1942 si svolse, nel Mar dei Coralli, una importante battaglia aeronavale fra le flotte alleate – australiana e statunitense – contro una flotta giapponese. Sebbene le perdite in mezzi e uomini fossero equivalenti, la battaglia segnò un punto d’arresto per il progetto di conquista dell’Australia vagheggiato dallo stato maggiore dell’esercito giapponese. Infatti il bastione difensivo di Port Moresby non era stato espugnato, e dunque l’assalto all’Australia doveva essere rinviato. Nel 1942 esistevano delle serie divergenze all’interno dello stato maggiore nipponico, in merito alle priorità da perseguire nella continuazione della guerra. Secondo alcuni alti ufficiali bisognava puntare ad ovest, verso l’india, per poi creare un raccordo con le altre potenze dell’asse. Il piano era molto ambizioso, tuttavia gli esiti insoddisfacenti della battaglia del Mar dei Coralli, e il bombardamento di Tokio (18 aprile 1942) da parte degli americani, fecero pendere la bilancia a favore del progetto dell’ammiraglio Yamamoto.

Il piano giapponese

Il piano giapponese prevedeva di attirare (con un azione diversiva) le forze aeronavali statunitensi al largo delle isole Midway, per poi passare alla loro completa distruzione. L’ammiraglio Nagumo avrebbe dovuto attaccare e mettere fuori combattimento le forze dell’esercito e dell’aviazione americana presenti sulle Midway, impiegando nel compito sei portaerei di classe pesante, due corazzate, tre incrociatori e dodici cacciatorpediniere. Una volta neutralizzate le forze avversarie l’esercito giapponese sarebbe sbarcato sull’isola. A supporto dell’operazione sarebbe stata impegnata la flotta del viceammiraglio Kondō, formata da due corazzate, nove incrociatori, diciannove cacciatorpediniere e una portaerei leggera. Il piano giapponese prevedeva che la flotta americana sarebbe intervenuta, partendo da Pearl Harbor, per riconquistare Midway. In questo modo la flotta americana avrebbe dovuto trovarsi fra due fuochi: da una parte la flotta di Nagumo, e dall’altra parte la flotta principale comandata da Yamamoto, forte di sette corazzate, tre incrociatori, ventuno cacciatorpediniere. Il concorso di forze delle due flotte avrebbe dovuto essere ben sincronizzato, per ottenere il risultato agognato.

Decrittazione

Agli inizi di maggio del 1942 le comunicazioni in codice delle forze navali giapponesi erano state decodificate, permettendo all’ammiraglio americano Nimitz di individuare – con un elevato margine di probabilità – il luogo dell’attacco principale dell’avversario. In base ai dati dell’intelligence in proprio possesso, l’ammiraglio Nimitz predispose di conseguenza l’aumento degli aerei nell’atollo delle Midway, e il posizionamento delle portaerei in prossimità dell’atollo. Il punto d’incontro delle forze navali USA era a 325 miglia a nord-est di Midway. La forza principale era formata da tre portaerei, otto incrociatori pesanti e diciassette cacciatorpediniere (sotto la superficie del mare erano inoltre presenti 25 sommergibili). Sulle portaerei erano imbarcati 233 aerei, mentre sull’atollo erano presenti 121 aerei. Un tale numero di aerei era sufficiente ad assicurare, almeno nell’area principale delle operazioni navali, la superiorità quantitativa sulle forze dell’avversario. I giapponesi avevano messo in campo delle risorse davvero ragguardevoli: otto portaerei (su cui erano imbarcati 410 aerei) e un numero pari o superiore di navi da guerra (rispetto a quelle americane). I sommergibili ammontavano in totale a 21. Tuttavia, dal punto di vista operativo fu solo la flotta del viceammiraglio Nagumo (quattro portaerei, 272 aerei, più le navi di appoggio) ad essere coinvolta nella battaglia, mentre la flotta del viceammiraglio Kondo, troppo distante, partecipò in maniera limitata allo scontro aeronavale.

La battaglia

Il piano giapponese era complesso e articolato, e forse avrebbe potuto avere successo, se solo il comando americano non avesse scoperto in anticipo la direzione principale della manovra di attacco di Yamamoto. Conoscendo i piani dell’avversario, le forze aeronavali USA furono in grado di sferrare un attacco di successo contro le portaerei del viceammiraglio Nagumo. L’affondamento delle portaerei di Nagumo obbligò il comando giapponese a ritirare il resto delle forze dal teatro delle operazioni. Tuttavia il quattro giugno la squadra navale di Nagumo era ancora integra e lontana dalla sconfitta, la distruzione delle portaerei non era ancora avvenuta, anzi tutto lasciava presagire che gli esiti della battaglia volgessero a favore dei giapponesi. Il primo bombardamento delle Midway era infatti stato un successo, gli aerei americani presenti sull’atollo non erano riusciti a fermare la flotta aerea avversaria, anzi avevano perso molti velivoli nel tentativo infruttuoso di ostacolare il nemico. Anche la successiva missione di rappresaglia americana – partita dall’atollo – non era riuscita a danneggiare i mezzi navali di Nagumo, e anzi era costata la perdita di molti aerei americani. Bisogna ricordare che i piloti giapponesi erano motivati e preparati, essendo reduci dalle battaglie con la royal navy nell’Oceano Pacifico, e dall’attacco del dicembre 1941 a Pearl Harbor. Inoltre il livello tecnico degli aerei da caccia zero, era al momento superiore a quello dei caccia americani. Eppure una minaccia si profilava all’orizzonte, una minaccia di cui Nagumo non era ancora consapevole: la flotta americana al largo delle Midway era pronta a colpire. A questo punto avvenne una svolta, perché un areo intercettore giapponese fu in grado di rilevare la minaccia, e di avvertire il proprio comando, e anche se le informazioni fornite erano incomplete, in quanto l’intercettore aveva avvistato solo una portaerei, Nagumo, che stava predisponendo un altro raid contro le isole Midway, ordinò repentinamente di cambiare l’armamento e la missione dei propri velivoli, poiché ora l’obiettivo era quello di distruggere la flotta nemica. Infine, allo scopo di facilitare l’azione degli aerei, Nagumo decise di orientare la navigazione della propria flotta in direzione della flotta avversaria. Questa decisione era forse inevitabile dal punto di vista operativo, tuttavia era anche rischiosa, in assenza di informazioni complete sulla qualità e quantità della flotta avversaria. Il giorno quattro giugno 1942 fu ricco di eventi significativi per l’esito del confronto fra le flotte avversarie schierate intorno alle Midway. Verso le prime ore del mattino furono lanciate diverse squadre di aerosiluranti dalle portaerei americane. La loro missione consisteva nella distruzione della squadra navale giapponese. In ordine di tempo, l’ultimo attacco americano fu respinto intorno alle dieci del mattino. Il bilancio delle prime sortite americane si rivelò infatti negativo. I giapponesi avevano perso undici caccia Zero e altri tre aerei, tuttavia le forze di Nagumo avevano bombardato Midway e distrutto un considerevole numero di aerei americani, sia provenienti dall’atollo, sia provenienti dalle portaerei. Le perdite complessive, alle ore dieci del quattro giugno, consistevano in trentacinque aerei di stanza sull’atollo e trentotto posizionati sulle portaerei. Gli aerosiluranti avevano lanciato inutilmente sette siluri, senza colpire il bersaglio. Una parte degli aerei americani era caduta in mare a causa della mancanza di carburante. Nagumo aveva probabilmente capito, a causa del grande numero di aerei che avevano attaccato la sua flotta, che gli avversari avevano più di una portaerei nelle acque del teatro di scontro. Nonostante questa consapevolezza, il viceammiraglio giapponese decise di lanciare un attacco aereo contro la flotta americana. La forza d’attacco era davvero poderosa: quindici caccia di scorta, cinquantaquattro aerosiluranti e trentatré bombardieri in picchiata. La Task force americana, diretta dagli ammiragli Fletcher e Spruan, correva ora il serio pericolo di essere distrutta.

La svolta decisiva

Mentre i caccia e la contraerea giapponese respingevano gli aerosiluranti nemici, stava per accadere un evento catastrofico. Una squadriglia di aerosiluranti e cacciabombardieri, provenienti dalla Enterprise, aveva individuato con ritardo la flotta di Nagumo, proprio mentre venivano sconfitti gli ultimi tentativi di assalto delle squadriglie provenienti dalle altre portaerei americane. Alle 10:25, mentre i giapponesi già progettavano il lancio di un potente contrattacco, la formazione decollata dalla Enterprise si lanciò in picchiata, quasi inosservata, sulle portaerei Akagi, Kaga e Soryu. Questa volta i colpi andarono a segno e il sapore amaro della sventura si diffuse fra le fila giapponesi. Gli equipaggi degli aerei americani avevano sfruttato la sorpresa, e in pochi minuti avevano distrutto tre portaerei pesanti. Tuttavia la quarta portaerei (Niryu) non era stata colpita, e poteva ancora rappresentare una minaccia. Dalla Niryu infatti, nel corso della giornata, partirono alcune squadre di attacco formate da caccia zero e aerosiluranti che, a costo di gravi perdite, riuscirono a distruggere la portaerei Yorktown. Verso le ore diciassette dello stesso giorno, un gruppo di aerei americani attaccò e distrusse la Niryu. La flotta di Yamamoto era troppo lontano dal teatro della battaglia, e quindi non poté in alcun modo intervenire per mutare gli esiti dello scontro. L’epopea delle Midway può essere associata ad un insegnamento del Machiavelli. In guerra e in politica giocano due fattori: la virtù, intesa come volontà, forza e astuzia, e la fortuna.

 

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