Verga e il ciclo dei vinti

Nota redazionale: È il mese di giugno, siamo nel periodo degli esami di stato, uno degli autori più citati nel colloquio dei candidati con i commissari d’esame è Giovanni Verga. Con il presente articolo proveremo ad affrontare il tema del ciclo dei vinti. È noto che inizialmente il piano dell’opera prevedeva la creazione di cinque romanzi, tuttavia solo i primi due vennero scritti e pubblicati, cioè i Malavoglia e Mastro don Gesualdo, mentre un terzo romanzo, La Duchessa di Leira, fu solo abbozzato. Giovanni Verga, in un certo qual modo, aveva subito l’influenza della corrente letteraria naturalista, verista. Egli scriveva, infatti, nella prefazione ai Malavoglia: ‘Basta lasciare al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad elevarsi e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali’.

Concentriamoci sulle parole di Verga, egli scrive che bisogna lasciare che il quadro sociale esprima se stesso, con le sue tinte schiette (vere) e il suo disegno semplice (non contraffatto). Risulta evidente il debito verso la corrente verista, in cui lo scrittore è molto simile ad un fotografo. I Malavoglia vennero pubblicati nel 1881, tuttavia il progetto di un ciclo di romanzi dedicati alla condizione umana, ai tempi del mito del progresso, risaliva almeno a qualche anno prima. Infatti, in una lettera inviata ad un amico, risalente al 1878, Verga scriveva: ‘dal cenciaiuolo al ministro e all’artista… Insomma cogliere il lato drammatico, o ridicolo, o comico di tutte le fisionomie sociali… Ciascun romanzo avrà una fisionomia speciale, resa con mezzi adatti‘. Verga utilizza la parola ‘marea’ per descrivere la forza che vanifica gli sforzi delle classi sociali verso il progresso, cioè la ricerca del meglio. Il ciclo dei vinti voleva dunque essere una descrizione oggettiva, uno sguardo naturalista, sulla inesorabile sconfitta delle ambizioni tipiche dell’essere umano ‘dal cenciaiuolo al ministro e all’artista’. Una lezione su ciò che l’uomo pensa di volere e ottenere, e ciò che invece realmente vuole ed ottiene (Emanuele Severino, Destino della Necessità).

Buona lettura

La brama di vivere e il destino

‘Cloto, Lachesi e Atropo, che concedono
agli uomini il bene e il male

Teogonia, Esiodo

Secondo l’antica mitologia greca il tessuto delle esistenze umane veniva filato da tre donne (le Moire). La prima di esse era raffigurata come una donna di giovane età, la seconda come una donna matura, e la terza come una vecchia decrepita. Esse filavano il filo del destino di ogni essere (l’ordito), poi, ad un certo punto, quando il destino lo decretava, tagliavano quel filo, mettendo fine alla vita. Secondo Esiodo è Cloto colei che svolge, srotola, il filo della vita, mentre Lachesi è il nome della Moira che fissa sul tessuto gli eventi voluti dalla sorte, infine Atropo rappresenta l’inesorabile incontro con la morte (la recisione del filo della vita).

Il tema del destino è parte integrante dell’opera di Giovanni Verga.

La nascita, la classe sociale di appartenenza, il sesso, la condizione economica della famiglia di origine, sono gli aspetti imprescindibili nella vita dei protagonisti dei romanzi verghiani. Tuttavia, la brama di vivere, intesa come volontà di progredire, spinge gli uomini verso la fuga dal proprio destino. Tale tematica è presente soprattutto nel primo romanzo del ciclo dei vinti, i Malavoglia. Infatti, non pochi personaggi del suddetto romanzo, spinti dal desiderio di esplorare il vasto mondo esistente al di fuori dell’ambito familiare, incontrano la sventura e ben presto vanno in rovina.

Sembra quasi riecheggiare, nella cattiva sorte toccata ad alcuni protagonisti dei Malavoglia, lo stesso destino di Ulisse, il re di Itaca, che spinto dalla brama di conoscenza decise di varcare le colonne di Ercole (cioè il limite delle terre note), per andare incontro all’ignoto e alla sventura. La potenza del destino, secondo Verga, si manifesta innanzitutto come un limite assegnato in sorte ad ogni vita umana. Nella concezione del limite (l’ostrica), possiamo avvertire l’eco della filosofia presocratica di Anassimandro. Infatti, in un frammento del filosofo greco, si sostiene che tutte le cose accadono seguendo la necessità. Tuttavia, Hybris, spinge le parti a ribellarsi al proprio destino, un destino che consiste nell’essere parte di una totalità da cui non si può fuggire. Il termine necessità indica ciò che non cede di fronte ad alcunché, sia esso un dio oppure un uomo. Necessità, ne-cedere, è ciò che non cede di fronte a nessuna brama estranea, a nessuna volontà di potenza, perché la necessità, diversamente dalla brama di vivere della parte, che vuole essere indipendente dal tutto, è invece la volontà perfetta che regola ogni ente. In un frammento di Anassimandro viene detto che Dike, la giustizia, riporta urlanti e in catene le parti ribelli, nel grembo della necessità (della inviolabilità e verità del tutto). In Anassimandro Hybris è dunque la forza che spinge la parte a sognare la libertà dal destino, in Giovanni Verga la ribellione al destino è frutto di una vaghezza interiore, cioè di un vago bisogno di esplorazione di ciò che è incognito. In un certo qual modo la tematica del limite e della volontà di superarlo, sembrerebbe fornire degli spunti di paragone con la corrente del romanticismo ottocentesco ( Foscolo, Leopardi, Goethe…).

I Malavoglia

La trama dei Malavoglia è incentrata sulla storia di una famiglia di pescatori di Aci Trezza. Durante una tempesta la barca dei Malavoglia viene travolta dalle onde, il carico di lupini comprato a credito si inabissa, e inoltre muore il figlio di padron Ntoni e un garzone (padron Ntoni è patriarca della famiglia). Come si può ben constatare la sventura si manifesta già all’inizio della saga. Il nipote del patriarca è stato arruolato nell’esercito italiano, di conseguenza non potrà sostituire il padre annegato, e dunque nemmeno aiutare a ripagare il debito dei lupini. Quando Ntoni (il nipote) ritorna ad Aci Trezza, non mostra eccessivo entusiasmo per il lavoro di pescatore. In effetti, pur contribuendo al risanamento dei debiti di famiglia, deciderà poi di intraprendere una strada diversa da quella indicata nei valori insegnati dal patriarca (nonno) e dal padre defunto. Insieme al filone principale del racconto sono presenti delle sotto trame, che coinvolgono variamente gli altri membri della famiglia. Le sotto trame mostrano, fondamentalmente, le ripercussioni negative del dramma di partenza sulle vite dei membri della famiglia. Secondo alcuni recensioni il modello sociale descritto da Verga nei Malavoglia è lontano da quello predominante oggigiorno. In modo particolare i valori del galantomismo, e la forza del vincolo familiare sarebbero ormai da considerare anacronistici nel contesto attuale. A nostro avviso, al di là del quadro sociale del romanzo, già allora contenente degli elementi specifici, vale la pena di riconoscere nella trama un aspetto di grande attualità. Ci riferiamo al fallimento del progetto imprenditoriale, causato da un evento straordinario, su cui è imperniato l’inizio del racconto. È sotto gli occhi di tutti, infatti, che negli ultimi tre anni, in tutto il mondo, si sono verificate milioni di chiusure di imprese economico-aziendali, a causa di eventi inseribili nella categoria dello straordinario. D’altronde il fallimento di un certo numero di attività economiche è nel novero delle possibilità tipiche dell’economia contemporanea. In realtà è su questo elemento, tuttora di permanente attualità, che Verga costruisce lo spunto per la trama dei Malavoglia. Quando analizziamo un testo di letteratura non possiamo prescindere dalle acquisizioni conoscitive della semiotica. Secondo Umberto Eco un testo narrativo è una macchina significante, che presuppone la cooperazione interpretativa del lettore (vedasi il saggio Lector in fabula). In altre parole il significante (il racconto), può implicare diversi significati, correlati ad una determinata gamma di interpretazioni elaborate dai lettori. Sulla scorta del pensiero di Charles Sanders Peirce, uno dei padri della semiotica, Eco ritiene che le interpretazioni di un testo non siano illimitate (semiosi illimitata), bensì circoscritte ad un ben definito numero. Tale numero è a sua volta correlato all’ambiente culturale, storico e sociale, in cui il testo è stato scritto, e successivamente letto. In altre parole l’interpretazione del testo, cioè l’attualizzazione di uno dei significati possibili (contenuti nel testo significante), è correlata e al contempo limitata dal contesto reale in cui avviene la scrittura e lettura (vedasi Eco, I limiti dell’interpretazione). Lo scrittore e il lettore possiedono sempre un retroterra culturale, cioè un linguaggio formato da parole, il cui significato di massima è codificato in un vocabolario e in una enciclopedia. Ora, sebbene il linguaggio non sia una realtà statica, è comunque plausibile ritenere che i cambiamenti di senso di una parola non possano cancellare il significato originario di quella parola, ma tutt’al più arricchirlo di nuove sfaccettature. L’opera di Verga, in particolare i Malavoglia, può anche essere considerata inattuale, in alcuni aspetti non essenziali del costume sociale narrato, tuttavia, nella descrizione del quadro sociale essenziale, essa è invece attualissima. Questo è il quadro di una società divisa in classi, dove la lotta per l’esistenza avviene su base individuale, o tutt’al più familiare, e non vi è più traccia di nessuna reale solidarietà comunitaria. Il residuo senso della comunità, incarnato nella famiglia, e nei valori di padron Ntoni, è anzi progressivamente eroso dal cosiddetto ‘progresso’ capitalistico, cioè dalla vaghezza interiore che spinge alcuni membri della famiglia a cercare la sorte, al di fuori del recinto tradizionale dei valori familiari. Ed eccoci giunti al punto più importante della questione, il punto che attraversa la stessa storia ultra millenaria dell’Occidente. Come abbiamo scritto in precedenza, già nel frammento di Anassimandro (600 a.c) ritroviamo la tematica della parte che si ribella alla legge della necessità, e cerca di fuggire dal recinto della totalità dell’essere. Il passaggio storico dalla comunità solidale ‘primitiva’ alla società divisa in classi può essere paragonato al (finto) movimento ontologico in cui la parte cerca (illusoriamente) l’indipendenza e la libertà dal destino della necessità. La parte ribelle, in Anassimandro, spinta dalla volontà di potenza (hibrys), cerca infatti di sfuggire al proprio destino, tuttavia questa fuga può avvenire solo sotto specie di sogno, di persuasione mentale, perché sul piano della realtà ontologica nessuna volontà di potenza di una parte può infrangere l’unità della totalità. Tuttavia la totalità, per essere tale, deve contenere in sé stessa anche la propria negazione, o meglio il sogno della propria negazione. Per questo motivo, probabilmente, in alcune tradizioni filosofiche orientali, la condizione umana ordinaria, profana, è assimilata al dormiente, colui che dorme, mentre il risveglio è il risultato della illuminazione. Lo stesso termine yoga indica la riunione del singolo con il tutto (Atman e Brahman), per cui si comprende la risposta del guru al discepolo che cerca l’assoluto, il Brahman; ‘tu sei quello (che stai cercando).

Oltre il limite (Ntoni…le ali di Icaro)

”La voce del mio cor per l’aria sento: / «Ove mi porti, temerario? china, / che raro è senza duol tropp’ardimento»; / «Non temer (respond’io) l’alta ruina. / Fendi sicur le nubi, e muor contento: / s’il ciel sì illustre morte ne destina”. Giordano Bruno, 1585, De gli eroici furori, sonetto dedicato ad Icaro.

‘Era con lui, il figlio Icaro, e ignorando di maneggiare gli strumenti della sua rovina, ora col volto sorridente toccava le piume che erano mosse dalla brezza errabonda”. Ovidio

Ntoni è il nipote del patriarca dei Malavoglia, e porta il suo stesso nome. Essendo il primogenito, avrebbe dovuto continuare la tradizione di famiglia, prendendo in carico l’attività di pesca. Eppure qualcosa spinge Ntoni a cercare altrove la propria fortuna, rifiutando il ruolo assegnatogli dalle consuetudini familiari. Tuttavia le peregrinazioni nel vasto mondo non vanno bene, e dunque costringono Ntoni a tornare nell’ovile. Una volta ritornato, egli non riesce ad adattarsi allo schema di vita consuetudinario (il lavoro, la famiglia) e di conseguenza inizia a frequentare delle cattive compagnie, passa le giornate nella taverna del paese, e infine viene arrestato con l’accusa di contrabbando. In un momento di rabbia accoltella lievemente, per presunti motivi di onore, un abitante del paese. Nel frattempo l’attività di famiglia, grazie a suo fratello Alessi, sembra avere ripreso un certo slancio. Nell’epilogo del romanzo Ntoni si ripresenta ai suoi familiari, ma resosi conto che il suo comportamento passato ha creato una distanza incolmabile fra di loro, decide di allontanarsi, ancora una volta. La vicenda di Ntoni, a nostro avviso, racchiude in sé al massimo grado il messaggio del romanzo dei Malavoglia. Ntoni è andato spesso oltre il limite, ha cercato al di fuori del contesto sociale di appartenenza qualcosa di nuovo, di indefinito. Come nel mito di Icaro, Ntoni ha voluto volare troppo in alto, e le sue ali, infine, hanno ceduto. Lo stile narrativo verista è fondato sulla descrizione impersonale, oggettiva, dei fatti. Tuttavia la scelta delle tragiche vicende, inserite nella trama del romanzo, è a suo modo significativa. Dalla penna dello scrittore sembra trapelare una velata partecipazione alle sofferenze dei Malavoglia. Una parte considerevole della letteratura del 900 (Moravia, Musil, Pirandello, solo per fare alcuni nomi) ha descritto la crisi dell’uomo moderno, in un contesto di dissoluzione dei punti di riferimento tradizionali. In Giovanni Verga, invece, sembra ancora risuonare l’eco della tragedia classica, l’eco di una concezione tragica dell’esistenza. In particolare il personaggio di Ntoni, sembra ricordare delle lontane figure del mito e della letteratura greca, come Icaro e Ulisse, peccatori di esperienza e trasgressori di limiti.

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