Gli ittiti

Introduzione

Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi’.

Machiavelli

Abbiamo già scritto qualcosa sull’impero ittita, in occasione di un articolo pubblicato nell’inverno del 2022. https://losguardodellacivetta.wordpress.com/2022/02/19/la-guerra-come-mezzo-impiegato-dallapparato-di-potenza-di-una-classe-dominante/

Oggi riprendiamo l’argomento in vista di una riflessione più generale sul tema della nascita – e del declino – degli apparati (sistemi) imperiali. Nel piano di svolgimento del presente articolo la storia dell’impero ittita sarà trattata a modo di paradigma per la comprensione di altre storie imperiali. Il lettore attento potrà fare degli opportuni paragoni tra le vicende contemporanee e il lontano passato degli ittiti. L’apparato imperiale ittita era formato, ovviamente, da una struttura economica e da una sovrastruttura politico statale. Le ragioni dell’ascesa e del declino di tale apparato sono state sviscerate in vari saggi e libri di storia, prendendo spunto da tali conoscenze cercheremo di fornire al lettore lo schema di un processo ricorrente (si veda Giovanbattista Vico e la teoria dei corsi e ricorsi storici). In questo schema, che ovviamente non può prescindere dalle specificità dei differenti modi di produzione (1), tenteremo di individuare le variabili interne ed esterne che condizionano la crescita, la conservazione e la decadenza degli imperi. Il popolo ittita, di lingua indoeuropea, comparve sulla scena storica intorno al 2000 AC, nella regione centrale dell’Anatolia. Nel giro di qualche secolo le città ittite indipendenti vennero inglobate dentro un regno in continua espansione. La storia dell’impero ittita aveva avuto inizio.

(1). Il modo di produzione capitalistico, secondo Lenin, trova nell’imperialismo la sua fase suprema. In un senso strettamente economico, la fase imperialista di un apparato (sintesi di struttura e sovrastruttura), è la conseguenza dei processi di centralizzazione dei capitali. In altre parole, per dominare i mercati internazionali, i conglomerati aziendali prodotti dalla centralizzazione, hanno bisogno di una iper-struttura (statale militare) in grado di imporre i propri interessi nella lotta commerciale con gli avversari. In termini più specifici, la difesa degli interessi dei gruppi finanziari che controllano i maggiori conglomerati economico aziendali, non può che produrre l’attuale grande gioco geopolitico (tra apparati concorrenti). Le guerre locali, le lotte per l’indipendenza nazionale, e quant’altro non potranno mai smettere di riprodursi, se il capitalismo continuerà ad occupare la scena storica. Tuttavia, nella storia dell’umanità, l’imperialismo non è stato un frutto esclusivo del capitalismo, bensì il corollario inevitabile delle società divisa in classi (antico schiavista, feudale, borghese). Ripercorrendo le vicende degli ittiti tenteremo di individuare i fattori che- in via di massima – possono determinare la nascita e il declino di un impero.

Buona lettura

Degli ittiti si parla nella Bibbia, ma anche in un testo egiziano che riporta i termini del trattato di pace tra il faraone e il re ittita. Avvolto nelle nebbie del tempo, l’impero ittita ha rischiato di essere cancellato dai libri di storia. Tuttavia, il grande sviluppo delle ricerche archeologiche, avvenuto a partire dal 1800, ha consentito di scoprire le rovine di varie città ittite, insieme a migliaia di tavolette cuneiformi che testimoniano l’esistenza di questo popolo. La capitale del regno ittita, Hattusa, fu scoperta nel 1834 da un esploratore francese Charles Texier. Tuttavia egli confuse la scoperta con la città di Tavio, la capitale dei Galati citata da Erodoto e Strabone. D’altronde nel 1800 gli ittiti erano ancora sconosciuti, citati brevemente in alcuni passi della Bibbia. Solo nel 1887, con la scoperta delle lettere di Amarna, in cui erano presenti i primi testi in lingua ittita, fu chiaro che nell’Anatolia centrale era fiorito, nel secondo millennio a.C., un potente regno, le cui tracce giungevano fino ai confini del territorio egiziano, ad ovest, ed ai confini dell’impero assiro, ad est. Gli ittiti veneravano una divinità suprema, Wurusemu, dea del sole, ma anche Teshub, dio del tuono, e poi un dio dei boschi e della pioggia. I re ittiti svolgevano anche la funzione di sacerdote supremo. Gli scavi archeologici, come detto in precedenza, hanno portato alla luce la capitale ittita (Hattusa). In essa sono visibili delle abitazioni e dei templi, inoltre gli scavi hanno rinvenuto l’archivio di stato, ricco di ventimila tavole di terracotta, scritte in caratteri cuneiformi. Il contenuto di queste tavole è sia di carattere storico che rituale. La religione degli ittiti può essere definita politeista, data la pluralità di divinità incarnanti aspetti e fenomeni naturali. Ovviamente sarebbe riduttivo pensare che, ad esempio, la dea del sole rappresentasse tout cour l’astro solare, o il dio dei boschi i territori boschivi, poiché si può ipotizzare che il sole e il bosco fossero la metafora, o se vogliamo il simbolo, di concetti generali nati dall’esperienza della vita. Secondo George Dumezil le religioni degli antichi popoli indoeuropei, ma non solo indoeuropei, erano fondamentalmente tripartite, in quanto riflesso di una struttura sociale divisa in tre funzioni (sacerdotale, guerriera, produttiva). In fondo anche gli dei ittiti potrebbero essere facilmente assimilati al Pantheon triadico descritto da Dumezil, inoltre risulta evidente che nel sovrano ittita si riassumeva sia la funzione guerriera che la funzione sacerdotale. Confermando la natura politeista della propria religione, gli ittiti tendevano ad assimilare gli dei delle popolazioni sconfitte (in seguito entrate a fare parte dell’impero). Duemila anni dopo, saranno i romani a ripercorrere su una scala più ampia (in termini di territori e popolazioni) la pratica dell’ assimilazione degli dei delle popolazioni sottomesse all’ impero (2). Gli ittiti avevano sviluppato una tecnica avanzata di costruzione delle armi e delle armature, che gli consentiva di prevalere sugli avversari. Abbiamo già scritto qualcosa sull’argomento nel febbraio 2022, quindi riproporremo nella nota (3) le righe relative a tale aspetto. Gli studiosi tendono a suddividere la storia del popolo ittita in due periodi: l’antico Regno (1650-1430 a.C) e il nuovo Regno (1430-1200 a.C). Come si può vedere i due periodi formano un arco di tempo di 450 anni. Un periodo di tempo notevole, se paragonato al tempo di vita di alcuni imperi successivi.

(2) ‘Se i vincitori rispetteranno gli dei e i templi dei vinti, si salveranno ‘. Eschilo

(3) . Ci chiediamo da dove derivasse la potenza militare ittita, ebbene i fabbri di questo popolo avevano scoperto il segreto del ferro. Dunque le armi e le corazze dei guerrieri ittiti erano forgiate in ferro, ed erano tecnologicamente migliori rispetto a quelle forgiate in bronzo usate dagli avversari. Inoltre, l’esercito ittita era in grado di impiegare dei carri da guerra molto veloci, trainati da coppie di cavalli. Il carro da guerra poteva irrompere nello schieramento avversario, e falciare la truppa con le lame inserite ai lati esterni dell’asse delle ruote. Al pari degli altri due imperi presenti nell’area (egiziano e sumero), l’impero ittita ricorreva periodicamente alla guerra per sottomettere nuovi popoli e territori, e al contempo per difendere le sue conquiste dalle brame dei concorrenti. 

Quattordicesimo secolo avanti Cristo, il regno ittita sta espandendo i suoi confini in varie direzioni, alla guida di questo movimento di espansione troviamo il re Suppiluliuma I. Figlio di una delle due mogli del re, alla morte del padre aveva eliminato il fratellastro (che era stato designato erede al trono). Nel periodo di vita precedente, definito il regno intermedio, l’impero ittita aveva subito un sensibile ridimensionamento territoriale, soprattutto a causa di alcune popolazioni insediate nel nord dell’Anatolia. Suppiluliuma riuscì a riprendere possesso di buona parte dei territori ittiti, conducendo delle vittoriose campagne militari contro i barbari del nord anatolico (Kaska). Inoltre raggiunse un accordo con l’Egitto, in cui veniva delineata la spartizione della Siria. Ad est, il regno confinante di Mitanni, venne ridotto alla condizione di stato vassallo. Dunque, dopo un periodo di decadenza, l’impero Ittita aveva ritrovato la strada per il consolidamento e l’ampliamento dei territori soggetti al proprio dominio. Ovviamente la causa di tutto questo non risiedeva solo nell’arte di governo di Suppiluliuma, ma aveva la sua ragione principale nel cambiamento del contesto geopolitico. I competitors tradizionali (Egitto, Assiria, popolazioni del nord anatolico) non erano più forti come un tempo, mentre l’impero Ittita stava di nuovo a accumulando risorse militari in grado di assicurargli la vittoria. D’altronde il territorio controllato dall’impero era ricco di materie prime utilizzabili per la produzione di armamenti, mentre il commercio fiorente con le altre popolazioni era una sicura fonte di introiti destinabili al finanziamento della guerra.

Il lettore attento avrà compreso che il nostro intento non è scrivere la storia degli ittiti, bensì utilizzare alcuni aspetti di questa storia per svolgere delle riflessioni di carattere generale. In altre parole, cosa potrebbe insegnare, ad un osservatore della realtà geopolitica contemporanea, la storia di Suppiluliuma I e del suo regno? Prima di rispondere a questa domanda, dovremmo chiederci se nel mondo contemporaneo esistono delle situazioni paragonabili al regno di Suppiluliuma. Cioè una situazione in cui un regno risorge dalle ceneri, come la fenice mitologica. Ebbene la risposta è sì, poiché la Russia degli ultimi trent’anni evidenzia una dinamica di declino e resurrezione paragonabile al regno ittita di Suppiluliuma. Dal 1990 al 2000 la Russia ha attraversato una fase di netto declino, dal 2000 a tutt’oggi è invece in una fase di ripresa. Quali fattori hanno determinato il declino e la successiva risorgenza ? Il declino è stato determinato dal bisogno vitale di tagliare i costi di mantenimento del mastodontico impero sovietico, non più sostenibili nel confronto con l’apparato avversario occidentale. In altre parole il centro imperiale (russo), a cavallo degli anni ottanta e novanta, ha dovuto sacrificare una parte degli stati vassalli per sopravvivere come apparato. Successivamente, sfruttando il complesso industriale esistente e impiegando per scopi propri o commerciali le ricchezze minerarie presenti nel sottosuolo, ha ricostituito buona parte del passato potere. L’occidente capitalistico, guidato dagli USA, non ha compreso che i parametri economici tradizionali come il pil, applicati all’economia russa, ricca di risorse energetiche e di materie prime, non avevano senso. D’altronde, anche uno studente del primo anno di un istituto tecnico commerciale sa che la valutazione delle aziende si basa sul bilancio d’esercizio, cioè sul conto economico (dove è evidenziato, per così dire, il pil) e sullo stato patrimoniale, dove è annotato il capitale permanente (le immobilizzazioni) a disposizione del soggetto imprenditoriale. La gamma di risorse energetiche e di materie prime della Russia è di vaste dimensioni, dunque quando si valuta la forza o la debolezza dell’economia russa bisognerebbe tenerne conto. Risorse e contesto geopolitico giocano un ruolo importante nelle fortune di un impero. Il contesto geopolitico ultra ventennale, in cui si sta svolgendo il ritorno agli allori dell’ apparato capitalistico russo, è contrassegnato dal dualismo tra economie emergenti e declinanti. Il capitalismo occidentale ha diversi secoli di vita alle spalle, e si trova in una fase di finanziarizzazione e deindustrializzazione elevata, mentre le economie capitalistiche emergenti sfruttano dei punti di forza che l’occidente capitalistico non possiede, o non può più possedere (come le risorse a buon mercato del periodo coloniale). Il capitalismo giovane, pensiamo soprattutto alla Cina e all’India, possiede miliardi di proletari da impiegare nel processo produttivo ( ‘La ricchezza delle nazioni’. Adam Smith), inoltre si trova in una fase di industrializzazione continua. La Russia e altri paesi (soprattutto medio-orientali) fungono da principali fornitori di materie prime e risorse energetiche per la macchina produttiva dei due colossi economici di Cina e India. La componente europea dell’Occidente capitalistico, invece, fortemente dipendente dalle forniture esterne di materie prime e risorse energetiche, è attualmente costretta ad acquistare a prezzi maggiori del passato le risorse energetiche. Tale circostanza, ovviamente, è una conseguenza della crisi geopolitica contemporanea, cioè della fase acuta raggiunta nel confronto permanente tra super apparati capitalistici.

Sic transit gloria mundi ‘

L’antica saggezza sentenzia ‘nulla di nuovo sotto il sole’. La sete di potere, 3500 anni addietro, aveva spinto Suppiluliuma I a congiurare per uccidere e detronizzare il proprio fratello. Egli si era poi rivelato la persona più adatta a restaurare i fasti dell’impero ittita, sfruttando le risorse disponibili e la situazione contestuale favorevole. Nell’anno 2000 DC, la leadership russa, sfruttando le risorse disponibili e la situazione contestuale favorevole, iniziò a restaurare i fasti dei tempi passati. Spagna, Portogallo, Francia, Gran Bretagna, in passato sono stati imperi potenti ed estesi, dunque perché non hanno anche loro tentato un ritorno ai fasti del passato? La risposta è semplice, non era possibile, perché sul loro territorio nazionale non ci sono le materie prime e le risorse energetiche necessarie per ricostituire la potenza militare del passato. Gli USA, invece, possiedono quasi tutte le risorse necessarie, tuttavia non possono vantare i miliardi di proletari a disposizione delle economie capitalistiche emergenti, e inoltre sono penalizzati dalla fase finanziaria avanzata del proprio capitalismo. In altre parole, sono state le stesse leggi di sviluppo dell’economia capitalistica che hanno condannato il paese guida dell’Occidente collettivo al tramonto.

Pochi secoli dopo l’avvento di Suppiluliuma I nuove potenze e popoli si fecero largo sulla scena storica medio-orientale. Il segreto del ferro ormai non era più un segreto, e un impero di medie dimensioni – come quello Ittita – non poteva fare fronte contemporaneamente ai vecchi e ai nuovi avversari. Di conseguenza una parte dei territori dell’impero fu semplicemente conquistato dalle potenze rivali, mentre ciò che restava della compagine statale ittita si suddivise in varie città stato o in piccoli reami autonomi. Questa volta non ci fu nessuna possibilità – per l’elite ittita – di fare risorgere il proprio impero. Se non fosse stato per gli scavi archeologici del secolo diciannovesimo, un impero durato quasi 500 anni sarebbe rimasto nell’oblio. Cosa potrebbe insegnarci la fine dell’impero ittita? Pensiamo che da quella vicenda possa essere tratto un doppio insegnamento. In primo luogo nel divenire storico i regni e gli imperi non sono destinati a durare in eterno. In secondo luogo se i regni vogliono prolungare la propria durata devono trasformarsi in imperi, e se gli imperi vogliono a loro volta durare il più a lungo possibile devono crescere senza sosta, oppure devono impedire alle forze rivali di eguagliare e superare la propria potenza.

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