Scenari macroeconomici 2023 (debito e disavanzo)

Nota redazionale: siamo giunti al quarto trimestre dell’anno, attingendo ai dati numerici reperibili da varie fonti (giornali, istituti di ricerca, studi) sarà possibile riassumere le principali tendenze e i fatti macroeconomici del capitalismo mondiale. L’esercizio 2023 non presenta alcuna svolta spettacolare nel campo dell’economia, anche se durante l’anno in corso è stato registrato un approfondimento delle tendenze già esistenti (in atto da da almeno dieci anni). Il corso del capitalismo tende a divaricare il peso delle economie occidentali e non occidentali. Lo sviluppo dell’economia capitalistica in Cina, Russia e India, ma anche in molti paesi emergenti dell’Asia, Africa, Sudamerica e medio oriente, è innegabile. I principali poli di valorizzazione del capitale sono concentrati nelle aree geoeconomiche e nei paesi appena citati. Il capitalismo europeo tende ad investire nei poli di valorizzazione suddetti, oppure è costretto ad acquistare le materie prime e le risorse energetiche dai rivali politici e commerciali. Dopo secoli di predominio occidentale, realizzato anche per mezzo del colonialismo, ora assistiamo al tramonto dell’Occidente capitalistico. L’epoca coloniale aveva garantito all’economia europea un flusso continuo di materie prime e forza lavoro a buon mercato, tuttavia dopo la seconda guerra mondiale molte cose sono cambiate. Nelle ex colonie inglesi, francesi, spagnole e portoghesi, si è sviluppata una borghesia autoctona, intenzionata a gestire in modo esclusivo le risorse del proprio territorio. Alcune multinazionali occidentali (soprattutto USA) hanno mantenuto una presenza significativa nelle ex colonie, inoltre, tramite la corda dell’indebitamento con i finanziatori occidentali, molti paesi in via di sviluppo hanno continuato a mantenere un legame di dipendenza verso le ex potenze coloniali. Eppure oggigiorno l’influenza economica dei paesi ex coloniali viene ridimensionata, in Africa, dagli investimenti di capitale cinese, e dalla presenza militare russa. Il recente caso del Niger (e di vari altri paesi africani) costituisce la prova di quanto andiamo scrivendo. La perdita del precedente livello di controllo sulle risorse dei paesi in via di sviluppo, ha rappresentato e rappresenta un grave problema (maggiori costi) per il capitalismo europeo. Le note vicende della guerra in Ucraina hanno ulteriormente contribuito ad aumentare il volume dei costi energetici per il funzionamento dell’industria europea. Abbiamo di recente affrontato il tema in questione in un articolo (Risorse e industria) pubblicato nell’estate del 2023. Insieme all’emergere delle economie capitalistiche giovani, il quadro macroeconomico globale mostra una doppia criticità relativa al paese guida dell’Occidente collettivo (parliamo degli USA). In primo luogo la tendenza alla perdita di peso del dollaro nei pagamenti degli scambi commerciali internazionali, in secondo luogo la tendenza all’aumento del debito pubblico e privato. Nell’articolo precedente (Crisi e guerra…) abbiamo già trattato la questione dei riflessi geopolitici della crisi del capitalismo occidentale, dunque non ci soffermeremo ulteriormente su tale aspetto, mentre dedicheremo la nostra attenzione agli ambiti prettamente economici del corso del capitalismo mondiale. (1)

(1). Ricordiamo, tuttavia, che un analisi realistica della società contemporanea, pur privilegiando in un certo momento un determinato aspetto di essa, non può non tenere conto di tutti gli altri aspetti, nel momento stesso in cui questi ultimi interagiscono con l’aspetto focalizzato. Vogliamo dire che l’economia è indubbiamente indispensabile per comprendere le direzioni del divenire storico, tuttavia essa è interconnessa con la sovrastruttura politico statale, in modo particolare con la ricerca scientifica e con il complesso militare industriale. Questi ultimi elementi del puzzle sono molto importanti per la difesa e l’avanzamento degli interessi dei conglomerati economico aziendali (le multinazionali) che formano il cuore pulsante della economia capitalistica. Ovviamente la forza di un apparato capitalistico è data dal grado di potenza dei suoi elementi costitutivi, e di conseguenza dall’intreccio simbiotico esistente fra di essi (la simbiosi armonica fra la struttura economica e la sovrastruttura politico statale).

Buona lettura

Capitolo uno: un oceano di debiti e di guerre

La crisi del processo di valorizzazione del capitale spinge le sovrastrutture statali borghesi verso il conflitto inter-imperialista. Lo abbiamo dimostrato nell’articolo ‘Crisi e guerra nel Capitale di Marx ‘ e nel suo recente approfondimento pubblicato nel settembre 2023. Le guerre capitalistiche odierne possiedono dei tratti in comune con le guerre del passato, in primo luogo la conquista di nuovi territori e popolazioni, e in secondo luogo il controllo delle risorse agrarie e minerarie del nemico. Un tratto tipico delle guerre capitalistiche, assente nelle società pre-capitalistiche, è dato dalla funzione aggiuntiva della distruzione di capitale tecnico e umano in eccesso. Una sorta di distruzione rigeneratrice del ciclo di valorizzazione del capitale, che avviene in modo sistemico, cioè a prescindere dalle intenzioni soggettive delle élite politico-militari borghesi. Al di là di questo aspetto sistemico, esiste la possibilità che la guerra venga perseguita per rinviare nel tempo la decadenza economica e politica di un apparato capitalistico. Ci sono vari esempi storici attinenti a questa possibilità. Nella realtà le tre motivazioni (conquista di risorse e territori, distruzione di capitale tecnico e umano in eccedenza, rinvio del processo di decadenza) possono semplicemente coesistere nello stesso evento bellico. Proviamo a ragionare sulla possibilità di una guerra mirante a rinviare la decadenza di un apparato. Il termine decadenza indica, nel contesto delle relazioni internazionali, la perdita di peso economico e politico. Una tale perdita è collegata all’ascesa di apparati rivali, e dunque può essere invertita o rallentata solo infliggendo un danno ai rivali. In una società diversa da quella attuale, sarebbe considerata una follia l’antagonismo e la guerra distruttiva (talvolta genocida) fra elementi della stessa specie. Nella realtà la guerra è la ‘estrema ratio’ utilizzata per dirimere le questioni non risolvibili con la sola minaccia dell’uso della forza, cioè con l’intimidazione. In che senso, allora, i dati macro-economici giocano un ruolo nelle contese geopolitiche? La risposta non è semplice. Essa potrebbe incentrarsi su due ipotesi diverse. Nel primo caso l’indebolimento della propria posizione economica globale, potrebbe spingere un apparato (lo abbiamo già sostenuto) a danneggiare gli avversari con una guerra (molto spesso per procura). Nel secondo caso le difficoltà economiche potrebbero spingere un certo apparato a iniziare una guerra per impossessarsi delle risorse (materie prime, forza lavoro, capitale aziendale) di un altro apparato. Nella prima ipotesi l’apparato in difficoltà economiche mirerebbe innanzitutto a danneggiare gli avversari con la tattica della terra bruciata. Nella seconda ipotesi l’apparato in difficoltà economiche mirerebbe innanzitutto ad ottenere un vantaggio appropriandosi di beni e risorse altrui. Il confronto tra fratelli coltelli borghesi si manifesta in due altri modi. Il primo è di natura valutaria, mentre il secondo è di natura finanziaria. Nel primo caso intendiamo la lotta per l’indebolimento o per il rafforzamento di una o più valute in ambito internazionale. Nel secondo caso intendiamo la crescita dell’influenza di un apparato attraverso i finanziamenti ad altri paesi. Torneremo su questi ultimi aspetti più avanti, mentre per ora passiamo ad affrontare alcune questioni economiche. Il termine debito, in economia, indica l’ammontare della somma di denaro che il debitore deve versare ad un creditore entro una certa scadenza. Nei manuali di economia aziendale del quinto anno delle scuole superiori ad indirizzo commerciale, viene esposta l’analisi per indici del bilancio contabile aziendale. In effetti, se non comprendiamo i misteri dell’ambito microeconomico (l’azienda), non potremo neppure comprendere pienamente il significato dei processi macroeconomici. In altre parole i parametri (gli indici derivanti dai rapporti fra grandezze di bilancio diverse) utilizzati per stabilire l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale di una singola azienda, possono essere impiegati anche per comprendere l’equilibrio macroeconomico di una singola economia nazionale. Un indice importante è quello relativo al rapporto PIL/debito. Nell’Unione Europea il rapporto PIL/debito pubblico, nel primo trimestre del 2023, è sceso dall’83,8% all’83,7%. Un piccolo calo, dovuto innanzitutto alla riduzione della spesa e all’aumento del PIL. Il rapporto fra debito totale e PIL, in Cina, raggiunge il 250%. In termini monetari sono 51.900 miliardi di dollari. Si tratta di uno dei debiti più alti del mondo. Le cause di questo oceano di debiti sono molteplici, tuttavia, se vogliamo fare un paragone storico, possiamo ricordare le righe di Marx sulla nascita del capitalismo in Inghilterra, e sul ruolo dei prestiti obbligazionari dello stato ai vari appaltatori e investitori privati. In effetti è inevitabile riconoscere che una delle funzioni dello stato (borghese) è quella di facilitare la valorizzazione del capitale. Quest’ultima può avvenire in due modi principali: concessione di prestiti, attraverso il sistema bancario, alle imprese desiderose di investire e fare profitti, ma prive di capitale proprio sufficiente, oppure vendita di obbligazioni statali ai possessori di capitale monetario desiderosi di un guadagno sicuro. È ovvio che lo stato può finanziare le proprie spese, e al contempo concedere dei prestiti alle imprese, solo con un adeguata dotazione di risorse monetarie. Queste ultime derivano in genere da due fonti: le entrate tributarie e le entrate derivanti dalla vendita dei titoli obbligazionari. Fatte queste premesse torniamo al problema del debito cinese. Esso è suddiviso fra tre soggetti: lo stato, le imprese e le famiglie. Le imprese detengono più della metà del debito. In modo particolare le imprese di costruzioni si sono molto indebitate, negli ultimi anni (anche con soggetti finanziatori stranieri), a causa della difficoltà a vendere gli immobili e al calo del loro prezzo. Il debito pubblico è una parte del debito totale. Ecco alcuni dati tratti dal sito http://www.infomercatiesteri.it Nel 2018 il rapporto fra debito pubblico e PIL era 16,3. Nel 2021 era salito a 20,3. Nell’anno in corso (2023) è 23,4. Come si può ben vedere la quota del debito pubblico, all’interno del debito totale cinese, è molto piccola. L’export cinese è passato da un valore di 2.201 miliardi di dollari nell’anno 2018 a 3.036 miliardi di dollari nel 2023. L’import nel 2018 ammontava a 1.891 miliardi di dollari, mentre nell’anno in corso è stimato in 2.341 miliardi. In base a questi dati l’export è cresciuto – in sei anni – di 835 miliardi, mentre l’import è cresciuto di 450 miliardi nello stesso periodo. I dati numerici del 2023 evidenziano un saldo attivo della bilancia commerciale di 695 miliardi (3036-2341)=695. Come si può facilmente arguire leggendo i dati, la bilancia commerciale (import- export) cinese è nettamente migliorata nell’arco del quinquennio 2018/2023. Il dinamismo del giovane capitalismo cinese è una conseguenza dello sviluppo industriale del paese, fra le cui cause ritroviamo anche la mole di investimenti occidentali avvenuta nei due decenni appena trascorsi. In Cina, infatti, l’impiego di processi produttivi legati alla seconda e alla terza rivoluzione industriale, implicanti ancora un notevole utilizzo di forza lavoro umana, ha attirato una quota cospicua di capitale occidentale nell’economia. Questo capitale, bramoso di pluslavoro, ha ottenuto i suoi profitti, ma ha pure potenziato, obtorto collo, il settore industriale cinese. Dal momento che non esiste, in ultima istanza, un capitale autonomo da una certa sovrastruttura politico statale, alla fine gli investimenti occidentali nell’economia cinese hanno contribuito a rendere più forte l’apparato capitalistico cinese. All’interno della logica della concorrenza tra apparati di uguale o simile potenza, il rafforzamento dell’apparato cinese ha rappresentato (e rappresenta) un campanello di allarme per il capitalismo occidentale a guida USA. L’aumento del debito totale cinese è un fenomeno derivato dalla cieca tendenza del modo di produzione capitalistico alla riproduzione allargata del capitale, quest’ultima, avvenendo (in parte) attraverso il circuito finanziario del credito, non può che determinare l’aumento del debito delle imprese. Tuttavia il giovane capitalismo cinese è tutt’ora in grado di investire il capitale proprio, o quello di terzi (capitale di debito), nelle economie emergenti (attraverso la banca aiib) e dunque di trarre profitti dalla partecipazione in loco ad attività aziendali ad alta composizione di forza lavoro umana. Si ritorna dunque al punto di partenza: essendo il profitto l’obiettivo di fondo della attività economica borghese, ed essendo il profitto una conseguenza della estrazione di pluslavoro nel processo lavorativo (teoria del valore lavoro), ergo, solo la possibilità di estrarre pluslavoro può consentire la realizzazione del profitto. Ovviamente l’estrazione avviene a tutto vantaggio della classe dominante, la classe che controlla il processo produttivo capitalistico. Le economie emergenti di Cina ed India possiedono in misura mastodontica la ‘ricchezza delle nazioni’, ovvero possiedono centinaia di milioni di proletari. È il pluslavoro del proletariato cinese e indiano che spinge i rispettivi paesi verso la crescita economica e l’aumento del peso geopolitico. In questo capitolo ci preme dimostrare anche che il significato economico del debito può essere diverso, e questa diversità e collegata al tipo di economia capitalistica in cui si manifesta il debito. Nelle economie emergenti il debito è una leva funzionale alla riproduzione allargata del capitale, viceversa, nelle economie declinanti, esso è un fattore di rallentamento delle attività economiche reali, a tutto vantaggio della sfera finanziaria. In altre parole la enorme mole del debito, che grava su molte economie occidentali, è un segnale da inserire nel contesto del declino capitalistico dell’Occidente. Per i teorici del capitale autonomo e apolide il fatto incontestabile del declino economico dell’Occidente è inspiegabile. Essi si chiedono perché dovrebbe decadere il capitalismo occidentale, se quest’ultimo può approfittare della ‘ricchezza delle nazioni’, il pluslavoro a buon mercato, presente in Cina, India e via dicendo? Se questo è davvero avvenuto nei decenni precedenti, perché non può avvenire anche oggi? L’errore consiste nel considerare un fenomeno (in questo caso gli investimenti di capitale occidentale nelle economie emergenti) in maniera statica, mentre ogni fenomeno è composto da fasi distinte, cioè è inserito in una logica dinamica. Evidentemente quello che era vero fino a 15-20 anni fa, oggi non è più vero. Le cose cambiano, e nel caso specifico il cambiamento consiste nel fatto che le borghesie autoctone di alcune grandi economie emergenti adesso lavorano in proprio, cioè possono tranquillamente fare a meno degli investimenti di capitale occidentale. Il business è il business, e il ritorno all’uso delle sanzioni, dei dazi e del protezionismo da parte dell’Occidente, a dispetto dell’era del globalismo di cui i cantori dell’ esistente ci narravano il trionfo, è il segnale che gli interessi capitalistici concorrenti hanno sempre bisogno di una sovrastruttura politico statale per la propria difesa. Alla faccia delle teorie sul capitale autonomo e apolide. Il debito pubblico degli Usa ha raggiunto nell’estate 2023 la cifra di 31.400 miliardi di dollari, che in rapporto percentuale al PIL rappresentano il 115%. Si consideri che nel 2008 il debito pubblico USA si aggirava intorno ai 10.000 miliardi di dollari. Nel 2023 negli USA il valore degli interessi passivi sul debito pubblico dovrebbe superare i 600 miliardi di dollari, mentre alcune stime per il 2024 parlano di oltre 700 miliardi di dollari (dati tratti dal sito ‘Italia oggi’). Un altro dato macroeconomico è rappresentato dal saldo della bilancia commerciale. Negli USA il disavanzo della bilancia commerciale di agosto (saldo fra import ed export) ammontava a (dati ufficiali USA riportati dal sito ‘La stampa’) a ”58,3 miliardi di dollari rispetto ai 64,7 miliardi di luglio”. Tale saldo deriva dal confronto tra le esportazioni, 256,0 miliardi di dollari, e le importazioni, 314,3 miliardi di dollari. Ecco alcuni dati sulla bilancia commerciale negli USA e in altri paesi. L’anno nero per i 27 paesi dell’Unione Europea è stato il 2022, quando a causa della guerra in Ucraina e delle relative vicende annesse e connesse (aumento del prezzo dei prodotti energetici, speculazione, fluttuazioni dei prezzi sui mercati), è stato registrato un grave disavanzo commerciale. Nel terzo trimestre del 2022 il deficit ammontava a 155 miliardi di euro. Un vero e proprio record, mai prima toccato. Nel 2023 invece il mercato si è stabilizzato, e la spesa complessiva per l’acquisto di metano e petrolio è diminuita consentendo addirittura di misurare un avanzo di poco superiore ai dieci miliardi di euro. Torniamo agli Usa, il sette febbraio 2023 una notizia riportata dall’Ansa faceva cenno al disavanzo USA dell’anno 2022. Si trattava di ben 948,1 miliardi di dollari. Anche nell’anno in corso la bilancia dell’import/export evidenzia una situazione di deficit commerciale. Nel primo trimestre si registra un deficit di 215,5 miliardi, mentre nel secondo il disavanzo ammonta a 212,2 miliardi. Il marcatore della bilancia commerciale è piuttosto importante, esso ci dice in che misura, una determinata economia nazionale, è in grado di soddisfare la domanda di beni e servizi del mercato interno (con la propria produzione), oppure è costretta ad importare un certo volume di beni e servizi dall’estero. Ovviamente la dipendenza dalle importazioni non rappresenta una situazione economica congeniale (basti pensare alla dipendenza energetica dell’Europa dalle forniture di paesi terzi).

Secondo capitolo: ulteriori aspetti del debito totale

Con il termine ‘debito totale’ intendiamo riferirci al debito pubblico, e privato (imprese e famiglie). Nei testi di economia aziendale l’indice di indebitamento segnala il rapporto esistente fra il totale degli impieghi (capitale fisso e circolante) e le fonti di finanziamento esterne (i debiti verso le banche e i fornitori). Le fonti di finanziamento interne sono invece date dal capitale proprio (gli apporti in beni e denaro del proprietario o dei soci). Un elevato indice di indebitamento segnala una condizione di rischio che potrebbe condurre l’impresa al fallimento e alla chiusura. Nel mondo reale potrebbero esistere degli stati falliti a causa del debito eccessivo, proprio come normalmente accade per le imprese economiche? La risposta non è facile, poiché lo stato non è una semplice impresa economica, che può chiudere i battenti se gli affari non vanno bene. Lo stato è l’insieme dei dispositivi che governano la società (magistratura, forze dell’ordine, scuola, parlamento, enti territoriali). Ovviamente, nella teoria marxista, il governo statale della società è funzionale ad una minoranza sociale definibile classe dominante. Uno stato fallito può anche esistere, ma questo non significa che la sua funzione di governance possa essere azzerata (sic et simpliciter). Esso continuerà a svolgere la suddetta funzione amministrativa, anche se per conto di un potere esterno, e dunque in veste di stato vassallo di questo potere (imperiale) esterno. Torniamo al problema del debito totale. Negli USA il debito delle famiglie, nell’anno 2023, ammonterebbe a 17.000 miliardi di dollari, si consideri inoltre che il debito totale mondiale supera di poco la cifra di trecentomila miliardi di dollari (dal sito soldi online, 7 e 8 maggio 2023). Questi dati sono una conferma della preponderanza del capitale finanziario, nella attuale fase senescente del capitalismo. Secondo una stima il PIL mondiale nel 2023 dovrebbe ammontare a 105 trilioni di dollari (si consideri che un trilione corrisponde a 1000 miliardi di dollari). Dunque, confrontando il PIL mondiale del 2023 con il debito totale mondiale, possiamo notare che quest’ultimo è quasi tre volte superiore al PIL mondiale.

Conclusione

Debito mondiale è un termine ingannevole, o almeno è solo la faccia visibile di una medaglia, che ha il suo rovescio nella rendita finanziaria che spetta ai possessori del debito (i creditori). Il capitalismo procede su un sentiero noto, la sua esistenza è da sempre legata alla ricerca della valorizzazione del capitale, e dunque al tornaconto dei possessori del capitale. Si chiami profitto industriale, interesse bancario, rendita finanziaria o utile commerciale, si tratta pur sempre della ripartizione del plusvalore, ottenuto nel ciclo produttivo di merci e servizi attraverso l’estrazione di pluslavoro dalla forza lavoro umana. Gli scenari macroeconomici per il 2023, in questo periodo autunnale dell’anno 2023 sono prevedibili e scontati, in considerazione delle leggi invarianti di sviluppo del modo di produzione capitalistico. Parliamo di: 1) caduta tendenziale del saggio medio di profitto, 2) aumento della disoccupazione tecnologica e della miseria, 3) aumento del debito totale, 4) crescita del capitale finanziario (correlata alla caduta del saggio di profitto industriale), 5) aumento della divaricazione tra capitalismo emergente e capitalismo decadente, 6) concentrazione e centralizzazione oligopolistica dei capitali aziendali, 7) riduzione del peso del dollaro negli scambi commerciali internazionali. Questi sette punti ci sembrano gli aspetti essenziali del divenire capitalistico nell’anno 2023. In effetti non bisogna essere degli indovini per prevedere il corso del capitalismo in un determinato anno o periodo di tempo, basta conoscere le leggi economiche descritte da Marx, storicamente verificate, per intravedere la direzione essenziale del cadavere che ancora cammina.

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